La Lametta Gallurese “Lurisinca” visibile nel sito www.dinosanna.it

 
 
      
 


 “Lurisinca” in omaggio a Luras  . In dialetto lurese per  “Lurisinca” si intende la donna di Luras. La “lametta” utensile al femminile e da qui  il termine “Lurisinca”.
 
Luras, è uno dei centri della Gallura dove la lavorazione del sughero “era” preponderante e trainante  l’economia paesana,  “era” perché la crisi economica ha raggiunto anche questo settore e, purtroppo, molti artigiani hanno dovuto chiudere-bottega e dedicarsi ad altri lavori.
 
In Gallura,  nei centri di Calangianus, Luras e Tempio Pausania, l’economia è basata anche nella produzione di tappi di sughero e derivati del sughero.
 Ciò è possibile grazie anche  ai vasti boschi di querce  da sughero presenti nel territorio. La produzione locale non basta per soddisfare le richieste e in parte viene importato dalla Spagna, Portogallo, Corsica, Algeria e Tunisia.
La lavorazione del sughero, già dalla fine del 1800, avveniva  senza l’ausilio di macchinari, interamente a mano, con lame e arnesi rudimentali.
 “ In dialetto lurese “Su ferru de quadrettaiu”. Il manico di questi utensile era generalmente in legno di “Fico Selvatico”perchè dopo la stagionatura era leggerissimo e cavo all’interno.
 
 Si producevano i “quadretti”,servivano localmente per imbottigliare direttamente il vino e , in parte, spediti nella penisola dove avveniva la trasformazione dei quadretti in tappi veri e propri,( lavorazione che ora avviene in loco).
 
La particolarità di questo utensile  è la lama, in acciaio al alto tenore di carbonio,  a punta tagliata con il bisello (affilatura) solo da una parte, mentre l’altra è completamente piatta, veniva inserita nel porta-lama e la lavorazione era fatta “a occhio” . Un operaio esperto produceva i quadretti nella misura stabilita senza l’ausilio di nessun strumento o guida; una volta tagliato poteva essere controllato e verificato con l’uso del decimetro e le misure raramente si discostavano da  quelle volute.
 
Quando la lama,  ormai consunta e non più idonea alla lavorazione, veniva  estratta dal porta-lama  e utilizzata  per fare i coltelli da tenere in  casa e per  cucina. Non c’era nelle case il coltello per il pane, per sfilettare il pesce, da bistecca o altro, la “Lametta” era per tutti gli usi.

Nelle “Lamette a lama fissa”,  la lama è semplicemente infilata in un manico fatto di legno della macchia mediterranea quali l’olivastro, la quercia, il leccio, il corbezzolo e tanti altri, il tutto fissato  con un tubo in ferro o in ottone ; successivamente si è passati a materiali sempre più pregiati some il corno di montone o muflone, osso di varia natura, madreperla, avorio e legni esotici. Successivamente a quelle “a lama fissa” sono nate le lamette “chiudibili”, prima “monolitiche”  dove  la lama veniva imperniata direttamente ad un unico pezzo di corno o legno; successivamente “animate” dove due guancette sono unite  nel mezzo da una lamina  in acciaio che conferisce solidità e robustezza al coltello. La lametta più antica di cui si ha notizia e se ne conserva un esemplare risale, presumibilmente, alla fine del 1800, è con la lama chiudibile imperniata, 
con una fascetta in lamiera  su un corno di capra . 

Una piccola curiosità, nella metà degli anni 70, molto ricercato era il paraurti della FIAT 500 fatto con tubi in ferro cromato. Bastava tagliarlo nella misura voluta ed infilarci la lama,  il coltello era già pronto all’uso,  lucido e senza necessità di ulteriori lavorazioni. La parte più ricercata era in prossimità della curvatura, tagliato a metà della stessa era, “rudimentalmente”,  ergonomico in modo da impedire alla mano di  scivolare indietro.

 
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